Divertenti e irriverenti ma utili a tranquillizzarci davanti alla scrivania dei selezionatori sono le dichiarazioni rilasciate da David Couper, famoso consulente, coach aziendale e autore americano, a Forbes sul colloquio di lavoro, esperienza imprescindibile per ogni carriera professionale alla quale però non ci si sente mai preparati a sufficienza.
Per la sua esperienza di selezionatore, Couper ci tiene a sfatare qualche falsa idea rassicurandoci del fatto che spesso anche i selezionatori arrivano impreparati ai colloqui, come quella volta in cui “chiamato all’ultimo momento a sostituire un collega, non avevo mai visto il curriculum del candidato e tanto meno sapevo la posizione per la quale si presentava”. Oppure quando, stavolta nel ruolo di candidato, trovò strano l’atteggiamento e le domande del selezionatore che a un certo momento gli disse “Vedo che si è laureato a Cleveland”.
Solo allora gli fu chiaro che il selezionatore stava leggendo il curriculum di qualcun altro.
Spesso si ha la sensazione che le domande poste a colloquio siano generiche o poco mirate. La motivazione sta nel fatto che per l’azienda è importante trovare la persona adatta non solo a svolgere determinate mansioni, ma anche a trovarsi in sintonia con la Corporate Culture e con i colleghi. Per questo vengono preferite domande aperte che inducano alla conversazione a cui, consiglia Couper, è meglio rispondere parlando poco per numero di diplomi ottenuti, ma piuttosto concentrandosi su come ci si sarebbe comportati in una certa situazione o come si sarebbe cercato di raggiungere un obiettivo, portando ad esempio le esperienze lavorative svolte in passato.
A metterci in guardia sulle insidie del colloquio di lavoro, ci pensa anche Dan Schawbel, famoso esperto americano di personal branding, sulle pagine di Aol.
Attenzione allora anche alla richiesta “Mi parli del suo capo” che spesso viene posta sul finire del colloquio, quando ormai la tensione si è sciolta e quando tutto è filato per il verso giusto. L’emozione potrebbe giocare brutti scherzi e l’empatia creata nel corso della conversazione indurci a parlare troppo, dando libero sfogo a opinioni personali e giudizi che potrebbero penalizzare proprio quello su di noi, facendoci apparire lamentosi o pettegoli. Come suggerisce Schawbel, non approfittate della domanda per sfogare tutto il vostro malcontento, provate invece a dare un quadro obiettivo della situazione che state vivendo, sapendo che dietro a questa richiesta c’è la volontà del selezionatore di capire come sarete in grado di gestire le pressioni dal vostro futuro capo.
Molto importante è anche il mondo in cui si presenta. Come spiegato sul blog Colloquiodilavoro.net in questa pagina, è importante avere un abbigliamento adeguato all’azienda in cui ci si presenta. Un elemento che molti non considerano quando si preparano per un colloquio.
Consigli utili, soprattutto se si pensa all’altra notizia circolata sul Web in settimana e supportata da un’infografica, nella quale vengono svelati numeri e alcuni segreti sui processi di selezione del personale di Google.
L’azienda riceve ogni anno 1 milione di curriculumda tutto il mondo di cui solo lo 0,4% viene assunto.
Ma come si fa ad essere assunti da uno dei colossi della tecnologia di oggi? L’azienda prevede diversi passaggi di selezione
ricezione e analisi del curriculum.
telefonata di presentazione.
primo colloquio faccia a faccia di 45 minuti circa, valutato da una commissione che manda il parere positivo o negativo all’esecutivo.
la candidatura, se valutata positivamente, passa al reparto amministrativo di Google che stende la prima offerta economica da proporre al candidato prescelto.
secondo colloquio con discussione della proposta economica.
Ogni passaggio può ripetersi per un numero imprecisato di volte, tra analisi e valutazioni sia dell’azienda che ovviamente da parte del candidato, dando vita a un processo di selezione lungo e complicato.
Per non parlare delle domande cui vengono sottoposti i candidati, che nella migliore delle ipotesi sono bizzarre e non solo in Google; anzi, pare proprio che a tenere i colloqui più difficili siano le piccole realtà, aziende fortemente specializzate che su uno specifico know how hanno creato il loro successo.