Il reato di diffamazione è previsto dall’articolo 595 del Codice Penale e rientra nella categoria dei reati contro l’onore.
Si integra quando un soggetto arreca un’offesa all’altrui reputazione (I), alla presenza di più persone (II) – almeno 2 persone – ed in assenza della vittima (III).
Significato del concetto di reputazione
Con il termine “reputazione” si fa riferimento al decoro, all’onore ed alla dignità personale di un soggetto nell’opinione degli altri e nell’ambito sociale.
L’offesa alla reputazione può integrarsi sia nel caso di aggressione alla sfera del decoro professionale, sia nell’attribuire un’anomalia sessuale (impotenza) – pur se non realmente esistente -, sia nell’attribuire difetti fisici, ecc..
I Giudici ritengono l’offesa come illecita pure nelle “mere” insinuazioni ed espressioni dubitative (Cass. n. 1988/1975), e pure laddove l’attribuzione crei anche solo il dubbio sulla condotta disonorevole (Cass. n. 2768/1979).
Fa scattare il reato non solo l’attribuzione di un fatto illecito, ma anche la divulgazione di comportamenti che siano ritenuti riprovevoli dalla comunità, alla luce dei canoni etici condivisi. A tal proposito, va osservato che la Corte di Cassazione – massimo Giudice in Italia – nel 2008 ha condannato per il reato di diffamazione un soggetto che aveva falsamente attribuito ad un uomo una relazione con un altro uomo (Cass. Pen., n. 40359 del 23.09.2008).
Costituisce reato anche la divulgazione di offese ai familiari del diffamato. Fa scattare il reato anche l’attribuzione dell’epiteto “fascista”, se utilizzato per qualificare una persona come prevaricatrice. In ambito politico, però, la Corte di Cassazione è solita escludere il reato, in quanto qui il concetto di diffamazione è valutato con minor rigore.
Sull’offesa e sulla volontà dell’offensore
L’offesa può essere arrecata tramite le più svariate modalità: con parole, scritte, foto, immagini ecc..
L’offesa può anche essere relativa ad un fatto vero o noto o di pubblico dominio: il reato sussiste lo stesso (art. 596 Cod. Pen.).
Ad esempio, il dire che una persona è un “ladro” costituisce sempre diffamazione.
Eccezioni. Fa eccezione a questo principio l’accordo tra vittima e diffamante nel deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto determinato, prima della emissione della sentenza di condanna. Altre eccezioni. Sempre per l’attribuzione di un fatto determinato, la prova della veridicità di esso è sempre ammessa nel processo penale nel caso in cui: la vittima sia un pubblico ufficiale ed il fatto si riferisca all’esercizio delle sue funzioni (I); se per quel fatto sia aperto o si inizi un procedimento penale (II); se il querelante domandi espressamente che il giudizio si estenda anche all’accertamento della veridicità o falsità del fatto (III). Ebbene, in tali ultime due ipotesi, se la verità del fatto risulta poi provata ovvero la vittima ne viene effettivamente condannata, il diffamatore non è punito, a meno che i modi utilizzati non siano di per sè diffamatori.
Va comunque sottolineato che la prova della verità del fatto deve essere completa, perchè la prova parziale della verità del fatto non esclude la pena.
Come già detto, è necessario che la persona offesa non sia presente, e che l’offesa sia comunicata ad almeno 2 persone, oppure anche solo ad 1 persona laddove però la comunicazione sia destinata ad essere riferita, nella volontà del diffamante, anche ad altra persona che ne abbia poi effettiva conoscenza. Il che può ad esempio avvenire quando si parli con una persona ad altissima voce ed in modo tale che anche altri possano sentire.
Il reato di diffamazione può essere commesso anche da parte di più persone in contemporanea. I soggetti colpevoli non possono però rientrare nel concetto di “più persone” richiesto dall’articolo 595 (Cass. Pen., 14.01.1958). Quindi, ad esempio, l’insulto effettuato da due soggetti alla presenza di una sola persona non integra il reato.
Sotto il profilo della volontà soggettiva dell’offensore, integra il reato il dolo generico e dunque la consapevolezza di arrecare delle offese all’altrui reputazione. Anche il dolo eventuale fa scattare il reato, così come lo integra anche lo scopo o il motivo di scherzo.
Le pene che si applicano al diffamatore
La pena che si applica all’offensore è quella delle reclusione fino ad un anno, oppure, in alternativa ed a scelta del Giudice, quella della multa fino ad € 1.032 (comma I art. 595).
Al II° comma dell’articolo 595, è poi previsto un aggravamento di pena (reclusione fino a due anni e multa fino ad € 2.065) nel caso di “attribuzione di un fatto determinato”, ipotesi che sussiste laddove il fatto attribuito sia descritto analiticamente con l’indicazione di particolari circostanze (di tempo, di luogo, modalità ..). La ragione di questa aggravante risiede nel fatto che qui il fatto risulta maggiormente credibile nella mente di chi ascolta.
Un’altra aggravante è poi prevista nel III° comma dello stesso articolo, dove si prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore ad € 516 per il caso in cui l’offesa sia arrecata a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in un atto pubblico.
Da ultimo, opera poi un aumento di pena sino ad 1/3 nel caso di offese arrecate ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario.
Reato di diffamazione e esercizio di un diritto – articolo 51 Cod. Pen..
Il nostro ordinamento prevede, accanto alla tutela dell’onore, anche il diritto di cronaca e di critica, i quali ove presenti escludono il reato di diffamazione.
Pertanto, il riferire una notizia da parte di un organo di informazione non fa scattare il reato pure laddove il fatto narrato offenda la reputazione, a patto che siano rispettate le seguenti 3 condizioni:
1. la notizia sia vera e sia stata scrupolosamente controllata e per intero da parte del giornalista, anche sotto il profilo della relativa “fonte” di provenienza;
2. la notizia sia di interesse pubblico;
3. la notizia sia divulgata in maniera obbiettiva e corretta dal punto di vista formale, tale da non risolversi – per il modo in cui sia riferita, per le parole usate, per il giudizio che l’accompagna … – in un attacco personale e gratuito.
Come si osservava, anche il diritto di critica a determinate condizioni può escludere il reato, in quanto tale diritto rientra in quello costituzionale della libera manifestazione del pensiero. Anche in questo caso operano le 3 condizioni previste per il diritto di cronaca, anche se i Giudici applicano le ultime 2 con minor rigore. La critica non deve quindi essere espressa con argomentazioni, opinioni e valutazioni costituenti degli attacchi personali gratuiti o con espressioni inutilmente volgari, umilianti o dileggianti.
Per entrambi, va quindi sottolineato che le espressioni non debbono essere pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica.
Quando si consuma il delitto
Il delitto di diffamazione è un reato di evento, e quindi si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione offensiva. È punibile a querela di parte.
La giurisprudenza sulla diffamazione
Ai fini della punibilità non è necessario che sia stato fatto il nome della persona offesa, quando l’identità di questa sia comunque chiaramente e certamente individuabile (Cass. Pen., n. 15463/2005).
Anche le associazioni, gli enti di fatto privi della personalità giuridica, i partiti politici, possono essere soggetti passivi del reato di diffamazione (Cass. Pen. n. 2886/1992).
La pubblicazione di atti giudiziari (c.d. cronaca giudiziaria) di un procedimento penale ancora coperto da segreto non è punita (Cass. Pen., V° Sez., n. 17051 del 19.02.2013).
In tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca quando, pur non essendo vero il fatto riferito, il cronista abbia controllato e verificato scrupolosamente la notizia (Cass. Pen., V° Sez., n. 15643 addì 11.03.2005).
Non sussiste l’esimente laddove un giornalista, in una trasmissione, accusi un P.M. di svolgere indagini politiche (Cass. Pen., n. 29509/2005).
Può operare la scriminante del diritto di satira laddove questa sia esercitata nei limiti della continenza (Cass. Pen., V° Sez., n. 2885 del 20.01.1992).
Nella diffamazione a mezzo stampa, la vittima, costituitasi parte civile, può impugnare ai fini penali la sentenza di assoluzione solo nei confronti dell’autore dell’offesa, e non anche nei confronti del direttore responsabile, quando quest’ultimo sia imputato ex art. 57 Cod. Pen. ma non a titolo di concorso (Cass. Pen., n. 9685/1997).
Nella diffamazione a mezzo stampa, la competenza territoriale va individuata nel luogo in cui è avvenuta la stampa, anche a mezzo di tipografia locale.
Deve ravvisarsi l’illecito civile per lesione del diritto alla identità personale quando vi sia distorsione della effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale. Deve, invece, ritenersi la sussistenza del delitto di diffamazione quando alla lesione suddetta si pervenga mediante offesa della reputazione.