Il reato di corruzione è disciplinato dagli articoli 318–322 del Codice Penale.
Consiste in un accordo fra un privato ed un funzionario pubblico a seguito del quale quest’ultimo accetta dal primo un compenso non dovuto per il compimento di un atto del suo “ufficio”. Ai fini della punibilità, il compenso può essere dato o anche solo promesso, e può consistere sia nel conferimento di danaro, sia nella dazione di “altra utilità”. La dazione può essere corrisposta direttamente al funzionario oppure ad un terzo: il reato si integra comunque.
Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame è quello del corretto ed imparziale svolgimento dell’attività della Pubblica Amministrazione, la cui immagine e il cui decoro vengono danneggiati a seguito dell’intesa illecita.
Del reato di corruzione ne rispondono – di norma – sia il corrotto che il privato corruttore (salvo che nel caso della c.d. corruzione impropria susseguente, della quale se ne parlerà nel prosieguo, ove è punito solo il pubblico funzionario e non anche il privato corruttore). Vi è dunque un concorso di entrambe le parti nella commissione del reato e nella punibilità.
A seguito della riforma operata dalla Legge 190/2012 le fattispecie di reato in tema di corruzione hanno subito delle modifiche. Vediamole nel dettaglio.
“Corruzione per l’esercizio della funzione” – articolo 318 Cod. Pen.
In questa fattispecie si punisce il pubblico ufficiale che, per il compimento di un atto conforme alle funzioni del suo “ufficio”, riceve per se o per terzi danaro o altra utilità, ovvero ne accetta la promessa. In tal caso il pubblico funzionario è punito con la pena della reclusione da 1 a 6 anni.
Si noti che in questa fattispecie il pubblico funzionario compie un atto “conforme” ai doveri e compiti del suo ufficio, e tuttavia la sanzione penale opera lo stesso, in quanto per legge il pubblico funzionario non può essere pagato e retribuito dai privati per l’esercizio delle sue funzioni pubbliche. Qui dunque l’atto è legittimo, magari anche corretto, magari anche dovuto; ciò che è illegittimo è la dazione e la promessa, posto che non vi è alcuna legge che consenta la retribuzione del funzionario da parte del privato per il compimento di un atto.
Dell’atto di corruzione viene punito anche il privato corruttore, salvo che – come si diceva – la dazione o la promessa di dazione non avvengano dopo che l’atto sia stato compiuto da parte del funzionario (c.d. corruzione impropria susseguente), perché in tal caso è punito solo quest’ultimo.
Ai fini della punibilità è sufficiente che l’atto appartenesse alla competenza dell’ufficio nel quale il funzionario lavora. Nel delitto ex articolo 318 Cod. Pen. la dazione di un regalo di piccolo valore può escludere la punibilità sia del funzionario che del privato. Nel delitto ex articolo 319 Cod. Pen., invece, la piccola regalia non esclude l’integrazione della corruzione e dunque l’applicazione della pena.
Nel delitto in esame è ammesso anche il “tentativo”, il quale può ad esempio essere ravvisato in un inizio di accordo tra le parti, nel caso in cui da ciò non segua la comune accettazione della illecita dazione.
Il dolo qui è “generico”, e consiste nella consapevolezza della dazione illecita/non dovuta per un atto conforme all’ufficio.
La dazione o la promessa della dazione può essere precedente al compimento dell’atto, ovvero susseguente. In dottrina si parla nel primo caso di “corruzione impropria antecedente”, e nel secondo caso di “corruzione impropria susseguente”.
“Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio” – articolo 319 Cod. Pen.
In questo caso sia il pubblico funzionario sia il privato corruttore vengono puniti per essersi accordati, dietro la dazione o la promessa della dazione, per l’omissione o per il ritardo di un atto conforme ai doveri d’ufficio, o per compiere o per aver compiuto un atto illegittimo/non conforme ai doveri d’ufficio. La pena della reclusione va dai 6 ai 10 anni, con un trattamento sanzionatorio più grave rispetto alla precedente fattispecie in quanto nel caso specifico l’atto è contrario ai doveri d’ufficio.
In dottrina questa fattispecie di corruzione è anche definita “corruzione propria”, ed anche qui si distingue tra “corruzione propria antecedente” e “corruzione propria susseguente”.
Questa corruzione è dunque commessa nel caso di omissione o ritardo nel compimento di un atto dovuto, o nel compimento di un atto non conforme ai compiti d’ufficio e dunque illegittimo. L’atto può essere illegittimo in quanto contrario alla legge o alle norme interne che regolano i compiti dell’ufficio a cui appartiene il funzionario.
Il dolo nella “corruzione propria antecedente” è “specifico”, e consiste nell’obbiettivo/fine di omettere o ritardare un atto dovuto, ovvero nel compiere un atto non conforme all’ufficio e ai suoi compiti. Nella “corruzione propria susseguente” il dolo è invece “generico”.
Anche questo delitto di “corruzione propria” è a concorso necessario, e quindi sono sempre puniti sia il corrotto che il corruttore.
“Circostanze aggravanti” – articolo 319-bis Cod. Pen.
“Corruzione in atti giudiziari” – articolo 319-ter Cod. Pen.
Nel caso in cui gli atti corruttivi previsti dagli articoli 318 e 319 Cod. Pen. siano commessi “per favorire o danneggiare una parte” in un processo (che può indistintamente essere un processo civile, penale o amministrativo), la pena della reclusione va dai 6 ai 12 anni. La pena è ulteriormente aumentata se dall’atto corruttivo ne deriva la condanna di una parte del processo (6–14 anni di reclusione se l’ingiusta condanna alla reclusione non supera i 5 anni; 8–20 anni di reclusione se l’ingiusta condanna supera i 5 anni).
In giurisprudenza si ritiene che questa fattispecie integri un reato “autonomo” rispetto alla corruzione di cui agli articoli 318 e 319 Cod. Pen..
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 15208 del 21.04.2010 – c.d. “Caso Mills”) anche qui è punita sia la “corruzione antecedente” sia la “corruzione susseguente”.
Anche in questa fattispecie è ammesso e punito il “tentativo”.
“Induzione indebita a dare o promettere utilità” – articolo 319–quater Cod. Pen.
Qui la pena della reclusione va da 6 a 10 anni e 6 mesi per il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che inducano dei terzi a dare o promettere di dare a loro o a terzi danaro o altra utilità, sfruttando la “posizione” da essi ricoperta.
“Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio” – articolo 320 Cod. Pen.
L’articolo 320 Cod. Pen. dispone che le stesse pene previste dagli articoli 318 e 319 Cod. Pen. si applichino pure all’incaricato di pubblico servizio, pur potendo in questo caso le pene medesime essere ridotte sino ad 1/3.
“Pene per il corruttore” – articolo 321 Cod. Pen.
Prevede che le stesse pene per tutti i delitti sopraelencati si applichino pure al privato corruttore, che può essere sia un comune cittadino, sia una società.
“Istigazione alla corruzione” – articolo 322 Cod. Pen.
Questa fattispecie punisce il privato cittadino che offre o promette danaro o altra utilità al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio per lo svolgimento di un compito rientrante nel suo ufficio, se l’istigazione non sia accettata (primo comma). La pena è la stessa di quella prevista dall’articolo 318 Cod. Pen. ridotta però di 1/3. Si ritiene che l’offerta debba essere “seria”. Il dolo qui è “specifico”.
Nel secondo comma dello stesso articolo 322 Cod. Pen. si punisce invece l’istigazione per l’omissione o il ritardo di un atto dell’ufficio, ovvero per la realizzazione di un atto contrario ai compiti d’ufficio, ovvero per la realizzazione di un atto contrario ai compiti dell’ufficio, anche qui se l’istigazione non sia accolta. In questo caso la pena va dai 4 agli 8 anni, da ridursi però di 1/3.
Al terzo comma si prevede che le pene di cui al primo comma si applichino pure al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio che istighi un terzo a corrispondergli del danaro oppure a fargli una promessa di dazione di danaro.
Al quarto comma si prevede che le pene di cui al secondo comma del presente articolo 322 Cod. Pen. (4–8 anni di reclusione con riduzione di 1/3) si applichino al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio che istighino un terzo alla dazione o alla promessa di dazione per il compimento di un atto non conforme ai doveri d’ufficio/illegittimo.
In tema di differenza tra il reato di corruzione e il reato di concussione
La differenza tra il reato di corruzione e quello di concussione ex articolo 317 Cod. Pen. non è sempre agevole.
Si afferma comunque che la diversità risiede nel fatto che, nella corruzione, il privato corruttore e il funzionario si trovano “alla pari” e nella medesima situazione, ed entrambi hanno interesse al compimento dell’atto. Il privato corruttore qui potrebbe sottrarsi alla commissione dell’illecito. Nella concussione, invece, il pubblico funzionario, sfruttando la propria posizione, costringe o induce il privato alla dazione o alla promessa trovandosi in una posizione di “dominanza”, ed in tale situazione non vi sono alternative per il privato rispetto a quella del sottostare alla volontà del funzionario (Cassazione Penale, VI° Sezione, n. 15742 del 20.01.2003). Nella concussione poi – e solo nella concussione – è il pubblico funzionario ad aver determinato nel privato uno stato di timore e di soggezione che ne hanno condizionato la sua volontà.
Un’altra differenza risiede nel fatto che solo il reato di corruzione è a concorso necessario, ed in esso sono puniti sia il corrotto che il corruttore, mentre nella concussione ad essere punito è solo in pubblico funzionario.
Questo è quanto affermato dalla Suprema Corte in tema di differenza tra il reato di corruzione e concussione-induzione indebita: “la corruzione è caratterizzata, come si è detto, da un accordo liberamente e consapevolmente concluso, su un piano di sostanziale parità sinallagmatica, tra i due soggetti, che mirano ad un comune obietti illecito; l’induzione indebita, invece, è designata da uno stato di soggezione del privato, il cui processo volitivo non è spontaneo ma è innescato, in sequenza causale, dall’abuso del funzionario pubblico, che volge a suo favore la posizione di debolezza psicologica del primo. … “il reato di cui all’art. 317 c.p. (concussione), come novellato dalla L. n. 190 del 2012, è designato dall’abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o – più di frequente – mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario, che, senza alcun vantaggio indebito per sè, è posto di fronte all’alternativa secca di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell’indebito”; – “il reato di cui all’art. 319 quater c.p. (induzione indebita a dare o promettere utilità), introdotto dalla L. n. 190 del 2012, è designato dall’abuso induttivo del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, vale a dire da una condotta di persuasione, di suggestione, di inganno (purchè quest’ultimo non si risolva in induzione in errore sulla doverosità della dazione), di pressione morale, con più tenue valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione”; – “nei casi c.d. ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine tra la concussione e l’induzione indebita (la c.d. zona grigia dell’abuso della qualità, della prospettazione di un male indeterminato, della minaccia-offerta, dell’esercizio del potere discrezionale, del bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale), i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica all’interno della vicenda concreta, individuando, all’esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti”; … – “il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti”; – “Il tentativo di induzione indebita, in particolare, si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’art. 322 c.p., commi 3 e 4, perchè, mentre quest’ultima fattispecie s’inserisce sempre nell’ottica di instaurare un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti, diretto al mercimonio dei pubblici poteri, la prima presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione, avanzando una richiesta perentoria, ripetuta, più insistente e con più elevato grado di pressione psicologica rispetto alla mera sollecitazione, che si concretizza nella proposta di un semplice scambio di favori” (così: Sezioni Unite Penali, n. 12228 del 24.10.2013).
La Giurisprudenza in tema di delitto di corruzione
In giurisprudenza si è ritenuto che integri il reato di corruzione:
il fatto del pubblico ufficiale che abbia “velocizzato” una pratica di compravendita immobiliare (Corte di Appello di Palermo);
il comportamento del consigliere comunale che abbia espresso il proprio voto nell’interesse di un privato (Cassazione);
l’accordo che preveda una dazione anche se non determinata nel suo esatto ammontare, né determinata quanto al momento e al luogo in cui deve avvenire il conferimento (Cassazione);
la “pressione” fatta da un pubblico ufficiale verso un altro pubblico ufficiale nell’interesse di un terzo e dietro pagamento da parte di quest’ultimo (Cassazione);
l’offerta di danaro da parte del privato al pubblico ufficiale per fare in modo che quest’ultimo non disponga il ritiro della sua patente a seguito della violazione dell’articolo 186 C.d.S. per guida in stato di ebbrezza; vi è l’integrazione del delitto ex articolo 322 Cod. Pen. laddove l’offerta non sia accolta dal pubblico ufficiale.