Le operazioni ordinarie vengono poste in essere successivamente alle operazioni preliminari.
Azione Revocatoria
Gli art. 66 e 67 della legge fallimentare prevedono la possibilità di rendere inefficaci determinati atti compiuti dal debitore prima del fallimento, a patto che siano verificati alcuni elementi
l’esistenza di un credito
l’esistenza di un atto di disposizione da parte del debitore, compiuto con l’intenzione di danneggiare il diritto dei creditori a soddisfarsi sul suo patrimonio
la consapevolezza da parte del debitore di danneggiare il creditore tramite l’atto
per gli atti a titolo oneroso (vedi sotto), la consapevolezza da parte dei terzi di danneggiare il debitore con quel medesimo atto (questo elemento tutela i terzi che lo hanno compiuto in buona fede).
L’azione tramite la quale viene sospesa l’efficacia degli atti pregiudizievoli nei confronti dei creditori prende il nome di “azione revocatoria” e viene regolata dal codice civile all’art. 2901. Normalmente è il creditore che pone in essere tale azione, ma, nel caso della procedura fallimentare, è il curatore che se ne occupa.
Risulta essere opportuno sottolineare che, esercitando questa azione, non si annullano gli atti posti in essere dal debitore, che rimangono pertanto validi, ma si incide sulla loro efficacia, congelando gli effetti che possono produrre fino a che non si sia chiusa la procedura fallimentare.
L’azione revocatoria cade in prescrizione dopo tre anni dalla richiesta di fallimento.
Risulta essere possibile distinguere tra due diverse tipologie di atto che possono essere soggette a azione revocatoria
gli atti a titolo gratuito
gli atti a titolo oneroso.
Gli atti a titolo gratuito sono così definiti in quanto il patrimonio del debitore subisce per effetto di essi una diminuzione senza ottenere alcun corrispettivo che bilanci tale sacrificio.
Tutti gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei due anni precedenti la sentenza fallimentare sono da considerarsi inefficaci, ad esclusione degli atti compiuti per far fronte ad un dovere morale o per motivi di pubblica utilità, a patto che non presentino una evidente sproporzione con il patrimonio del donatore (art. 64 del Decreto Regio).
Gli atti a titolo oneroso sono invece così definiti in quanto il patrimonio del debitore subisce una diminuzione a fronte di una contropartita. Un esempio di questi atti può essere la vendita di un bene ad un prezzo chiaramente svantaggioso, molto più basso di quello di mercato.
Per l’esercizio dell’azione revocatoria in ambito fallimentare è poi necessario distinguere ulteriormente tra due tipologie di atti a titolo oneroso:
di carattere anormale
di carattere normale.
Gli atti a titolo oneroso di tipo anormale sono soggetti a due presunzioni relative: si presume cioè, da una parte, che, al momento del compimento, l’imprenditore fosse già in stato di insolvenza e, dall’altra, che la controparte fosse a conoscenza di questa sua precaria situazione economica.
L’azione revocatoria viene richiesta dal curatore fallimentare e spetta al creditore provare che non era a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito al momento dell’atto.
I casi annoverati dall’art. 67 della legge fallimentare sono
gli atti a titolo oneroso posti in essere nell’anno precedente la procedura fallimentare, a patto che le prestazioni o le obbligazioni di cui si è fatto carico il soggetto debitore superino di oltre un quarto quanto gli è stato promesso come contropartita. L’azione revocatoria si applica quindi su tutti quegli atti che presentano una forte sproporzione tra dare edavere
il saldo di debiti scaduti, a patto che il pagamento sia stato effettuato non in denaro e sia avvenuto nell’anno precedente la procedura fallimentare
le garanzie reali (pegno o ipoteca) costituite nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento a garanzia dei debiti contratti e non ancora scaduti
le garanzie reali (pegno o ipoteca) costituite nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento a garanzia dei debiti contratti e scaduti.
Per gli atti a titolo oneroso di carattere normale, invece, che non sono soggetti ad alcuna presunzione, spetta al curatore provare che il terzo soggetto fosse a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito. Inoltre, per poter essere soggetti ad azione revocatoria, tali atti devono essere stati compiuti entro i sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento.
Per quanto concerne gli atti compiuti tra coniugi, siano essi a titolo oneroso o a titolo gratuito, sono da considerarsi soggetti ad azione revocatoria se conclusi nel periodo in cui il fallito esercitava la sua attività imprenditoriale o entro i due anni precedenti la sentenza di fallimento, a patto che il coniuge non provi che non era a conoscenza dello stato di insolvenza del partner (Art. 69 della legge fallimentare).
Non possono invece essere soggetti ad azione revocatoria i seguenti atti
i pagamenti di imposte sui redditi e tributi
gli atti posti in essere dal debitore che hanno come obiettivo il risanamento della situazione patrimoniale dell’impresa e che sono stati giudicati ragionevoli da un professionista iscritto all’albo dei revisori contabili
i pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo per le prestazioni di lavoro dei dipendenti dell’impresa
gli atti e i pagamenti effettuati per porre in essere il concordato preventivo o l’amministrazione controllata
il pagamento di una cambiale, se il soggetto che riceve tale pagamento doveva accettarlo per forza per non perdere il diritto ad esercitare l’azione di regresso. Una volta ricevuto il denaro, il possessore della cambiale deve consegnare la somma al curatore.
Occorre infine sottolineare che, di solito, il denaro ricavato dalla liquidazione dell’attivo è di entità decisamente inferiore a quella dei debiti; è quindi molto raro che i creditori (soprattutto quelli chirografari) vedano rimborsato il loro credito per intero.